martes, 10 de febrero de 2009

I SECOLI DELLA LETTERATURA VENETA

Il Quattrocento

Una nuova cultura.- Il Quattrocento è il secolo che vede in tutta Italia una grande fioritura culturale e artistica incoraggiata dal regime delle Signorie, che, pur nel suo autoritarismo spesso dispotico, favorisce per ragioni di prestigio lo sviluppo delle lettere e delle arti.

In questo secolo Venezia acquisisce rapidamente tutta la Terraferma fino all’Adda. L'Università di Padova diventa un’università veneziana, protetta e tutelata dalle leggi della Serenissima e la cultura veneta ac­quista un carattere più unitario, ma intanto si stabiliscono a Venezia grandi maestri [1] , come il bergamasco Gasparino Barzizza (1360-1431) [2] , Guarino veronese [3] (1374-1460) e Vittorino da Feltre (1373-1446) [4] , che di Guarino fu allievo proprio in Venezia e da lui apprese il greco, ed esercitano il loro magistero contribuen­do in maniera determinante alla formazione della classe dirigente della Repubblica, dalle cui file usciranno gli umanisti delle nuove generazioni, come il nobile Leonardo Giustinian [5] (1388-1446), fine poeta che scrive in latino le Epistolae, traduce dal greco, ma rimane celebre soprattutto per i suoi Strambotti e le sue Canzonette dette Giustinianee, nelle quali il tono popolare si fonde con una lingua colta ed elegante, lontana sia dal dialetto padano sia dalle forme toscane. Accanto a lui va ricordati un altro patrizio, Francesco Barbaro (1395-1454) [6] , cultore di lettere latine e greche, che scrisse De re uxoria, sulla vita matrimoniale; mentre nella generazione successiva un posto a sé per l’elevatezza del suo pensiero e la profondità e il rigore delle ricerche filologiche va attribuito al nipote di Francesco Barbaro, Ermolao il giovane (1455-1493): che sotto la guida dello zio, Ermolao Barbaro il vecchio, realizzò un profondo rinnovamento degli studi aristotelici [7] fin dagli anni del suo insegnamento a Padova dal 1474 al 1479, quindi dedicò la sua attenzione ai poeti greci. Dopo aver svolta una intensa attività diplomatica fu dal papa nominato Patriarca di Aquileia, nomina poco gradita alla Signoria che lo costrinse a vivere a Roma, dove scrisse le sue Castigationes pliniane, uno dei prodotti più importanti della filologia umanistica; scrisse anche dei trattati, De coelibatu e De officio legati, oltre a Epistolae, Orationes e Carmina.

Ma la vita culturale della Terraferma é intensa e vivace [8] . Una figura singolare è quella del padovano (ma originario di Levico) Sicco Polenton (1375-1447), autore della Catinia [9] , un testo in lingua latina considerato inesattamente commedia per la sua struttura dialogica, che va ricollegato per il suo carattere ironico ai successivi sviluppi della farsa goliardica e della letteratura maccheronica.

L’invenzione della stampa.- Intanto un avvenimento di grande importanza interessa la cultura europea, l'invenzione della stampa e a Venezia si sviluppa la nuova industria culturale. Il primo a realizzare una tipo­grafia a Venezia fu Giovanni da Spira, ma subito dopo fu Aldo Manuzio, un laziale trapian­tato a Venezia, a sviluppare questa attività con grande spirito imprenditoriale unito ad una profonda sensibilità culturale. Nella città adriatica affluiscono dotti da tutte le parti d'Europa. E grazie agli studi umanistici rinasce a Venezia quella commedia umanistica con la quale co­minciano le prime manifestazioni del teatro veneto rinascimentale [10] .

E, mentre prosegue la grande tradizione storiografica [11] con gli storici ufficiali Marcantonio Sabellico (1436-1506) [12] e Andrea Navagero (1483-1529) [13] , che fu anche un raffinato poeta in lingua latina, tra Quattro e Cinquecento abbiamo un’originale opera storiografica, scritta in dialetto veneziano, i minuziosi Diari di Marin Sanudo il giovane (1466-1536), che registrano gli avvenimenti della città dal 1496 fino all’anno della sua morte.

La produzione letteraria in Terraferma.- Però nel Quattrocento non solo a Venezia ma in tutta la Terraferma, accanto ad una produzione poetica abbastanza diffusa di intonazione petrarchesca (ma su questo versante solo il padovano Marco Busenello, nato nel 1432 [14] , e Giovanni Aurelio Augurello [15] (1456-1524), riminese di origine, ma veneto di adozione e morto a Treviso, meritano di essere ricordati), si manifesta una produzione dialettale piuttosto intensa e varia, alla base della quale c’è lo sforzo di realizzare una produzione originale e indipendente dai modelli toscani (si parla di espressionismo veneto). Già se ne sono viste le premesse nel Trecento con l’opera di Francesco Vannozzo; nel Quattrocento il personaggio più rappresentativo di questo atteggiamento poetico e linguistico è il nobile veronese Giorgio Sommariva, vissuto tra i sue secoli, avvocato, che seppe alternare versi di fattura petrarchesca a testi dialettali anche in friulano, in bergamasco e in padovano, creando quadretti di vita campagnola. Ma accanto ad opere consapevolmente volute in dialetto da intellettuali di professione abbiamo testi dialettali spontanei come i Mariazi, testi poetici in dialetto di argomento nuziale, diffusi soprattutto nella zona di Padova o l’Alfabeto dei villani, componimento popolare che riprende lo schema metrico dell’abbecedario, in terzine di endecasillabi a rima incatenata.



[1] G.Ortalli, Scuole e maestri tra Medioevo e Rinascimento. Il caso veneziano, Bologna 1996.

[2] Fu ospite a venezia nel 1407 della famiglia Barbaro come precettore del giovane Francesco.

[3] Concluse la sua esistenza a Ferrara come precettore di Lionello d’Este.

[4] Lasciò Venezia nel 1423 e si stabilì a Mantova, dove trasformò in scuola una villa e la denominò “Scuola Gioiosa”.

[5] M. Dazzi, Leonardo Giustinian poeta popolare d'amore, Bari 1934.

[6] E. Barbaro, Epistolae, Orationes et Carmina, ed. critica a cura di V. Branca, Firenze 1943. Su Ermolao Barbaro vedi V. BRANCA, Ermolao Barbaro e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo europeo e Umanesimo veneziano, a cura di V. Branca, Firenze 1964.

[7] L'aristotelismo padovano, secondo una celebre osservazione del Ficino, si era venuto distinguendo in due correnti fondamentali, dei seguaci del commento di Averroè e dei sostenitori di Alessandro di Afrodisia (noto fin dal Quattrocento per la traduzione di Girolamo Donà) ed Ermolao il giovane sostenne una aspra polemica con Pico della Mirandola nel 1485 sui problemi della poesia e dell’ l'eloquenza basandosi cui testi aristotelici genuini. Lo stesso Poliziano, venuto a Venezia nel 1491 assieme a Pico ricevette nell’ambiente veneziano quella sensibilizzazione per i problemi della filologia testuale (ecdotica) che prima di allora gli era stata piuttosto estranea.

[8] A. Serena, La cultura umanistica a Treviso nel secolo decimoquinto, Venezia 1912.

[9] Ed. critica a c. di G. Padoan, Venezia 1969. Vedi anche G. Padoan, La “Catinia” di Sicco Polenton, in Momenti dle Rinascimento veneto, Padova 1978, pp. 1-33.

[10] G. Padoan, La commedia rinascimentale veneta, Vicenza 1982. Di Polenton è da ricordare un’aspra polemica col veneziano Fantino Dandolo, che aveva criticato gli ammiratori di Cicerone.

[11] Vedi A. Pertusi, Gli inizi della storiografia umanistica nel Quattrocento, in AAVV La storiografia veneziana fino al secolo XVI. Aspetti e problemi, a c. di A. Pertusi, Firenze 1970, pp. 269-332. F. GAETA, Storiografia, coscienza nazionale e politica culturale nella Venezia del Rinascimento, in S.C.V. 3,1, pp. 1-91.

[12] Il suo nome era Marcantonio Coloccio, il soprannome derivava dalla sua terra d’origine il territorio degli antichi sabini. Insegnò retorica a Udine a Verona e a Venezia. Scrisse numerosi saggi e trattati fra cui Rerum Venetarum ab urbe condita libri, del 1487.

[13] Autore anche di un trattato Naugerius sive de poetica.

[14] Da non confondere con Gian Francesco Busenello, di cui si parlerà più avanti.

[15] L’Augurello scrisse anche delicati versi in latino, che furono molto apprezzati dai suoi contemporanei. Il suo petrarchismo anticipa di quasi vent’anni quello propugnato dal Bembo.

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